L’annosa questione che si presenta quando terminiamo di scrivere un libro.
Nel video, qualche risposta utile.
Alla prossima 🙂
L’annosa questione che si presenta quando terminiamo di scrivere un libro.
Nel video, qualche risposta utile.
Alla prossima 🙂
Oggi permettetemi di fare la scrittrice inserita nella società e nelle problematiche moderne (che, comunque, riguardano la cultura a mio parere).
Vi voglio segnalare quello che spero si possa definire solo un “disservizio” (non oserei spingermi oltre) nelle procedure di reclutamento tramite concorso del comune di Milano.
Quest’estate mi sono iscritta a un concorso per la selezione di diciotto istruttori dei servizi bibliotecari, per cui ho regolarmente versato la mia tassa di dieci euro e per cui ho dovuto obbligatoriamente aprire un indirizzo PEC (pena esclusione dal bando) che comporta dei costi (minimi per carità ) ma che, oggi come a giugno, è per me completamente inutile avere, visto che non esercito una professione autonoma.
A questo vanno aggiunti i costi per i due testi consigliati (e questi non sono stati minimi) per la preparazione al concorso che io ho religiosamente acquistato e studiato (sprecando anche del tempo ma il danno morale non ha valutazione, quindi è a mio carico).
Poco dopo la mia iscrizione, sul sito del Comune, è una stata comunicata una modifica del bando di concorso: le prove non sarebbero state più due (scritta e orale) ma una sola, una prova scritta che si sarebbe svolta in modalità online.
Dopo questo, il nulla. Il bando si è regolarmente chiuso il 21 luglio 2021 e, ad oggi, 7 dicembre, non vi è nessuna comunicazione d’indizione della prova.
Per ben tre volte ho provato a rivolgermi al Comune di Milano (due tramite la loro mail e una dalla pagina facebook) chiedendo lumi in merito e mi è stato risposto, in maniera anche abbastanza sgarbata, che “come scritto nel bando, la data e l’orario della prova sarebbero stati comunicati sul sito del Comune quindici giorni prima”.
Ora, io non sono Le Iene o Striscia la Notizia e, ormai, il concorso con questo articolo me lo sono giocato (boccaccia mia!) ma ho una piccola platea a cui posso esporre i miei dubbi e, quindi, lo farò.
Innanzitutto vorrei sapere se la prova si terrà mai perché, cinque mesi dopo, per quanto io abbia “monitorato” il sito, non è più comparsa nessuna comunicazione.
In caso non si svolgesse, come possiamo riottenere i soldi della tassa già versata? E capite bene che non è una questione di dieci euro ma è il principio. Ed è anche il fatto che io so che si sono iscritti in molti a questo concorso e dieci euro a iscrizione moltiplicati per tante persone, fanno un po’ di soldini. È corretto?
Non arrivo a pretendere il rimborso della PEC inutile che mi hanno obbligato ad aprire per accedere al bando o ai libri acquistati per la preparazione, perché sarebbe fantascienza, anche se la logica vorrebbe che tutti i costi sostenuti per un concorso che non si svolge per difetto dell’ente promotore, siano a carico dello stesso.
Inoltre, vorrei segnalare che è già successo (e lo so per esperienza diretta) che alcuni concorsi banditi nella fase immediatamente precedente al Covid anche da altri enti pubblici e che hanno avuto un elevato numero di iscritti, siano andati misteriosamente persi nella macchina burocratica intasata (anche dal virus stavolta!) e che le modalità di rimborso dei costi d’iscrizione non sono mai pervenuti.
Quindi vi chiedo, cortesemente, di condividere questo post più che potete, per segnalare questa situazione.
Vi ringrazio, come sempre, per l’attenzione che dedicate a me e al blog.
“Con i termini generazione Y, millennial generation, generation next (generazione successiva) o net generation (generazione della rete) si indica la generazione che, nel mondo occidentale o primo mondo, ha seguito la generazione X e alla quale succede la generazione Z: coloro che ne fanno parte – detti millennial(s) o echo boomer(s) – sono i nati fra i primi anni ottanta e la metà degli anni novanta.[1][2]; è dunque la generazione “del millennio“, ovvero coloro nati alla fine del XX secolo.” Wikipedia
Solo io la trovo una definizione complessa?
Non avevo mai pensato di essere una “millenial”, io mi ricordo che ero la generazione in cui non si dava un nome alle generazioni.
E Y poi? Che lettera è? Quando giocavamo a “nomi, cose, città ”, quando qualcuno beccava la Y si annullava e si pescava di nuovo.
Ecco che generazione siamo. Quella che si passa per arrivare a un’altra. Cioè, siamo nell’alfabeto ma parlandoci chiaramente: una cosa che comincia per Y? Siamo stati lasciati sul foglio senza che nessuno ci abbia fatto giocare.
Le premesse erano fantastiche, eravamo bambini nel boom economico, quando il buco nell’ozono era ancora un piccolo pertugio, quando non si moriva perché mangiavi il glutine e siamo cresciuti senza Internet e cellulari.
Meglio? Peggio? Non è questo il punto.
Lasciate che vi racconti qualcosa della generazione Y, la mia generazione.
Non ho paura a dire che, ormai, noi Y siamo arrivati alla soglia della quarantina ed è più facile vedere ora quello che è stato.
Che ci sia andata bene o male, possiamo affermare che siamo stati la generazione più danneggiata dalla società italiana. I problemi delle generazioni seguenti viene dal danno fatto a noi.
Allora, io ho provato, nel mio lungo percorso, ad affittare e a comprare una casa e volevano un rene in cauzione (organo vitale che se ne sarebbe andato). E, in questa società che demanda tutta la pressione sulla famiglia di origine, senza un padre danaroso o un marito, non puoi essere indipendente fino in fondo. Da donna, è così che mi sento e che mi sono sempre sentita.
Con noi sono nati, precarietà , stagismo professionale (termine con cui indico chi, a causa della contingenza, è diventato uno stagista di professione. Uno dei grandi errori è stato permettere la nascita di questa figura in Italia. Non eravamo in grado, bisognerebbe solo abolirla ormai, non c’è possibilità di sistemarla), amore liquido (e qui prendo il nome dalla sociologia per indicare relazioni amorose “di merda”. Scusate il francesismo ma non mi viene in mente altro) e abbiamo aperto la strada ai famosi “bamboccioni” (quando ho sentito per la prima volta questa definizione mi è quasi esploso il fegato dalla rabbia ma, tranquilli, ora sta bene).
Cosa c’entra questo con la scrittura? Forse non l’ho detto abbastanza volte: tutto c’entra con la scrittura. Scrivere è parte di un vissuto.
E il nostro vissuto è quello di una generazione con grandi sogni, rassegnarsi al fatto che le cose debbano essere così non ci va proprio giù. D’altronde, come dico sempre, il giro sulla giostra è uno e non ce ne concederanno un altro. Siamo sognatori. Potete biasimarci?