“Non sono cattiva, è che mi disegnano così” – Jessica Rabbit
Cara Jessica, hai ragione e hai svelato il trucco: tu sei come ti disegnano. E i cattivi dei libri sono come gli scrittori vogliono che siano.
Pensiamo ai classici “cattivi”. Chi sarebbe Batman senza Joker? Superman senza Lex Luthor? Sherlock Holmes senza Moriarty? Luke Skywalker senza Darth Vader? Ammettiamolo, senza cattivo, il buono ci sembrerebbe meno buono. Questo perché la trama classica di ogni storia è così strutturata:
- l’eroe che vuole o rivuole qualcosa o qualcuno;
- una serie di ostacoli che allontanano l’eroe dall’oggetto della sua ricerca;
- il superamento delle difficoltà e l’ottenimento dell’oggetto desiderato.
Ovviamente, questa trama vale anche a livello metaforico e ha infinite varianti e si applica a ogni genere, razza, religione e orientamento sessuale (così siamo a posto con il GDPR).
A meno che tu non voglia che un quantitativo di sfiga si abbatta sul tuo “eroe” (cosa che può succedere anche nella vita reale), di solito, lo scrittore crea un antagonista, responsabile di quei famosi ostacoli di cui parlavamo prima.
Ora seguitemi, perché il discorso “cattivi” non è così semplice come si pensa e scrivere un buon personaggio cattivo non è facile, per niente.
Una volta, buoni e cattivi erano divisi nella classica struttura fiabesca. La Strega è cattiva perché è cattiva, Biancaneve è buona perché subisce le angherie della regina. Bene e Male sono due categorie assolute, dove è evidente chi sta da una parte e chi dall’altra. E così via, con i personaggi secondari: chi lavora con il cattivo è cattivo, chi aiuta il buono è buono. Semplice, lineare, qualcosa che un bambino possa comprendere. Questi cattivi sono “personaggi”. Non hanno dimensione, sono marci dentro o, semplicemente, matti. Li disegnano così.
Negli ultimi tempi anche nelle storie a fumetti, cinematografiche o nelle serie tv (perché sui libri questa cosa c’è dalla notte dei tempi), c’è stata un’inversione di rotta.
I cattivi diventano “persone”, hanno una storia, dei traumi, delle caratteristiche e spesso non sono così facili da categorizzare. Anche la pazzia viene spiegata. Non si nasce buoni o cattivi, sono le scelte che ci caratterizzano. Dal dolore possono nascere persone migliori ma anche peggiori.
Se penso al mio romanzo, non so ancora chi sia il cattivo. E’ Corrado? E’ il padre di Davide? I parenti di Daisy? O forse è proprio Daisy stessa? In fondo, lei vorrebbe essere serena ma continua a ostacolare questo suo intento in tutti i modi. Non è la definizione di antagonista che vi ho appena dato? Quindi la mia protagonista è buona o cattiva?
Non è così facile dirlo. I confini sfumano, non ci sono i buoni e i cattivi; ci sono solo essere umani, con i loro difetti e le loro paure. Con il loro dolore.
Qui entra in gioco l’abilità dello scrittore. E il mio consiglio: cercate di rendere i personaggi più veri possibile. Non create delle Jessica Rabbit, dei cartonati. Date ai lettori la possibilità d’identificarsi, senza sentirsi giudicati.
E, se posso darvi un’ultima “perla di saggezza”, vi dico: nessuno è buono come la Nutella (non così tanto!). Lasciate che le debolezze e i difetti dei vostri personaggi li rendano unici.