Ho passato tutta la vita a cercare di non diventarlo eppure eccomi qui ad ammetterlo: sono un cliché.
Sono una donna adulta di trentotto anni. Non sono sposata, non ho figli e e vivo da sola. Quella che i più (i meno svegli di solito) definiscono una “zitella”. Sono una donna adulta che ha un lavoro che non è una passione e una passione che non è un lavoro. Ho avuto grandi sogni che sono andati via via rimpicciolendosi…
Sono alla ricerca dell’amore? Direi proprio no. Come tutti i cliché, vivo nella paura di soffrire e quindi evito quello che potrebbe provocare dolore. E l’amore mi ha fatto soffrire, troppo. Mica sarò così cretina da rinfilarmici?
Una volta il cliché alla mia età era essere sposata con figli e mutuo ma i tempi cambiano e così anche i cliché e ora il testimone è passato alle donne come me: single (sempre le zitelle di cui sopra), che non bruciano i reggiseni ma che sono coscienti dei loro diritti, sporadicamente bevitrici, che vivono e si mantengono da sole. Vaghiamo tra confusione e silenzio, alla ricerca di qualcosa che ci scuota dal torpore della quotidianità.
Forti, audaci, indipendenti ma comunque un cliché. Non dobbiamo avere bisogno di nessuno, è nello statuto del nuveau cliché, dobbiamo cercare noi stesse ma non dobbiamo trovarci in luoghi troppo assurdi. Dobbiamo essere il nostro corso/libro/lifecoach di autoaiuto.
E da “io” sono già passata a un “noi” generico. Tornerò all’ io narrante e infatti, io mi porto il peso di un altro immenso cliché: la scrittrice fallita. Colei che vive nella bruciante sensazione di aver un talento che non può, non sa e forse non deve neanche utilizzare.
Ma non deve essere tutto negativo, sapete. Ho scoperto che, in fondo, essere un cliché non è così terribile come pensavo. Perché di grazia?
E allora perché ce la stai menando con questo articolo? Me lo sono chiesta anch’io, che credete? Sono un cliché dotato di intelligenza e spirito critico. La risposta è: io ho sempre voluto essere un outsider.