L’annosa questione che si presenta quando terminiamo di scrivere un libro.
Nel video, qualche risposta utile.
Alla prossima 🙂
L’annosa questione che si presenta quando terminiamo di scrivere un libro.
Nel video, qualche risposta utile.
Alla prossima 🙂
Mi è venuta un’idea. Mi piacerebbe registrare dei brevi video per spiegarvi come è nato questo nuovo libro, come si svolgerà la parte che (speriamo!) lo porti alla pubblicazione e rispondere a qualche domanda o dubbio sulle dinamiche del mondo dell’editoria.
Vi spiego tutto nel video!
E oggi questo post lo voglio dedicare a lui, alla sua costanza, nonostante i rifiuti e le difficoltà di ogni scrittore. A Snoopy e alla sua caparbietà. Un esempio per tutti noi.
Chi non si perde mai d’animo è il primo candidato a realizzare un sogno. Non fraintendetemi; a volte, anche chi è cocciuto come un mulo, non ce la fa. Le variabili esterne sono troppe e fuori dal nostro controllo per affermare “Se vuoi, puoi”. Ma se vuoi tanto e ci metti tanto impegno ci sono più probabilità che tu riesca.
Scrivendo questo libro, mi sono resa conto di tutte le difficoltà che ho superato per arrivare a creare (e passatemi il termine, perché mi fa sentire molto fica) dei libri, a pubblicare e soprattutto per arrivare ad essere me stessa, in un modo che solo la scrittura mi concede.
Ho fatto così tanto eppure non abbastanza. Nel momento in cui ho dovuto scegliere, ho scelto male. Ma il “senno di poi” è inutile quasi quanto l’ansia.
Posso solo imparare e sbagliero’ ancora ma, come faccio dire anche a Daisy in “Un momento di chiarezza”, “l’unica cosa che posso fare è sbagliare meglio”.
Siate come Snoopy e non avrete più paura delle “notti buie e tempestose”.
Prima di partire per le tanto meritate vacanze, voglio lasciarvi un ultimo ma importantissimo consiglio di scrittura: osate!
Nella scrittura non dovete essere educati, politicamente corretti, buoni, cordiali. Dovete essere solo veri. E non sarete mai veri come quando scrivete.
Non abbiate paura e non pensate mai che sia troppo. Siate sinceri fino in fondo, non uscirete da nessun seminato. Non c’è un seminato.
Mark Twain scriveva:
Siate coraggiosi nello scrivere, dimenticate quello che vi hanno insegnato per vivere nella società civile o per ottenere un posto di lavoro.
Scrivere è il luogo dove siamo liberi.
E allora, mollate gli ormeggi e navigate lontano. Saltate!
Oggi il blog compie due anni, me lo ricordo come se fosse ieri quando è andato online, era un’afosa sera di luglio.
Cominciai a scriverlo perché avevo bisogno di scrivere per riprendermi da un brutto colpo, come spesso è accaduto.
E poi (come spesso è accaduto anche questo) è diventato un’idea, un progetto nella mia mente che non sta mai ferma. E quando quella prima sera che dovevo pubblicare non è andato niente online, mi è venuto un colpo e ho perso degli anni di vita credo.
Ma alla fine, è andato tutto bene.
Auguri!
Scrisse. Prima che la sommergessero di critiche e insulti le persone che non volevano che la Signorina “Nonsochisia” dicesse loro cosa pensare. Ma io non sono una dei Ferragnez o una Selvaggia Lucarelli; io non sono un “influenZer” e quindi posso essere una che vi racconta una storia senza pretese di verità assoluta, una scrittrice insomma.
Io sono una fiera pro-vax e domani è la mia volta, finalmente. Domani riceverò anch’io la mia prima dose di vaccino e sì, sono contenta, anche se domani chiuderò gli occhi per non guardare l’ago che entra nel braccio perché la mia soglia del dolore è praticamente inesistente.
E cosa vuoi? Una parata? Fiori lanciati in aria al tuo passaggio? Beh, sarebbe carino ma non è questo il punto.
Io sono pro-vax da prima che esistesse il Covid, quando le mie amiche con i bambini piccoli mi chiedevano se era giusto vaccinare i loro i figli. E io rispondevo che prima i bambini morivano con l’influenza e la febbre troppo alta, per cui sì, ora possiamo proteggerli (in minima parte purtroppo ma è così), proteggiamoli.
E se succedesse qualcosa? E’ la domanda che attanaglia il genere umano dalla notte dei tempi e non c’è risposta. Io non lo so, non sono onnisciente. E ogni corpo reagisce a modo suo ai vaccini e anche al Covid.
Quando è cominciata la pandemia, era preoccupata per i miei parenti, i miei genitori, i mei amici. E quando sono arrivati i vaccini, ero preoccupata per i miei parenti, i miei genitori, i miei amici. E lo ero ancora quando li hanno vaccinati. E domani, contro ogni probabilità statistica, il mio corpo potrebbe non reagire bene e potrei avere dei problemi. O, magari, succederà sul lungo termine. Ma quando coloravano le regioni con il pennarello, aprivano e chiudevano luoghi, confini e zone ad alto rischio di contagio, pensavo che fosse inutile. Il vaccino era la nostra migliore possibilità, la nostra unica possibilità per tornare a una vita normale.
La paura è naturale perché siamo umani e non sappiamo cosa succederà. Non lo so nessuno, nonostante quello che vanno raccontandovi in televisione e su Internet vari pofessoroni, con il piglio saccente di chi sa tutto. Nessuno sa tutto. Nessuno sapeva se gli antibiotici avrebbero funzionato eppure ora fanno parte della nostra routine medica. Se qualcuno non avesse provato per primo a fare la chemio, ora non potremmo neanche provare a salvare le persone dal cancro.
Tutti credono in qualcosa, io non credevo che sperare che andasse tutto bene facesse davvero andare tutto bene ma credo nella scienza. Per chi comprende il riferimento, io sono sempre stata Jack e non Locke. Eppure, anche la scienza richiede un atto di fede alla fine. Ci viene chiesto di credere che funzionerà, con tutti gli esperimenti e i test ma senza nessuna vera assicurazione.
Pensiamo un attimo da scrittori. Pirandello morì di polmonite, Jane Austen morì per il morbo di Addison e Kakfa, morì a soli quarantuno anni per la tubercolosi. Qualcuno oggi conosce persone morte di queste malattie? No, perché nel mondo industrializzato (e qui si potrebbe aprire un’intera parentesi sulla disparità delle cure tra Paesi ricchi e paesi poveri), oggi non esistono più. Pensate a quanti meravigliosi scrittori avremmo ancora avuto o a cosa avrebbero potuto ancora scrivere se avessero avuto la medicina di oggi.
Ora forse avremmo potuto avere ancora qui Louis Sepulveda se il Covid non se lo fosse portato via l’anno scorso. E così come lui, migliaia di anziani per cui non abbiamo potuto fare niente. Ma anche persone meno anziane e lo sappiamo.
E la peste? Che ha accompagnato la nostra letteratura per secoli e ha falciato così tante vite? Ormai il mio punto è chiaro.
Sì, domani è il mio turno e io sono contenta.
Sottotitolo: Il vero tormento dell’anima mia
Oggi devo fare il primo passo e lo farò con voi. Vedete, il blocco della scrittore è infimo, è come l’herpes. Lo prendi, ti passa e, se sei fortunato, non torna più. Ma sai sempre che c’è la possibilità che ricapiti, é dentro di te, é endemico della natura dello scrittore stesso.
Tutti hanno avuto un blocco dello scrittore almeno una volta. Anche chi ha solo scritto i suoi pensieri sul diario del mio mini pony o tweet di centoquaranta caratteri sui social. Tu dici: “Ho il blocco dello scrittore” E lui/lei risponde: “Ma sai che anch’io!” Certo, ovviamente ce l’hai.
Il blocco si compone di tre fasi:
– “Non scrivo da qualche giorno ma é ok, ho avuto tanto da fare”;
– “Dovrei riprendere in mano il mio libro, ormai sarà un paio di settimane che non scrivo”. Stai già mentendo sui tempi, in realtà si tratta almeno di più di un mese;
– cominci ad avere brividi e dolori in tutto il corpo e non é Covid. Il pensiero fisso é “Mio Dio, non scriverò mai più una riga”. É cominciata l’astinenza.
Il primo passo é ammettere di avere un problema ed é quello che io sto facendo con voi. Su quello che dovrebbe accadere dopo vi prego di prendere tutto con il beneficio del dubbio perché lo scopro io stessa con voi. Costruiamo insieme la soluzione del rebus.
Direi di entrare in contatto con persone che scrivono o potenzialmente creative; attraverso lo scambio con loro potrebbe rimettersi in moto la macchina, seguendo le sue vie misteriose.
L’altra cosa da fare assolutamente é scrivere. Lo so, sembra un controsenso ma scrivete qualcos’altro (tipo l’articolo di un blog? Sì anche!) : un post, un diario, la lista della spesa… Qualcosa, maledizione!
Ho capito perché lo chiamano blocco; la tua storia é lì, in qualche parte del tuo cervello, della tua anima, del tuo cuore e tu la vedi, é quello che devi scrivere e sai come farlo.
Ma c’è una serratura, una porta che non si apre… Basterebbe solo farla scattare in qualche modo e voilà. Bisogna solo trovare un accesso.
Ieri sera ero alla fermata della metro, aspettavo qualcuno e all’improvviso ero da un’altra parte. Ho rivisto la scena come se la stessi vivendo; la metro, la pioggia, la macchina che arrivava, il grigio del cielo di una primavera che tardava a esplodere. Quel misto di agitazione ed eccitazione che mi danzava dentro. E lui che arrivava per portarmi verso… No, niente spoiler. Diciamo solo che sono tornata a quel momento che noi scrittori definiamo un “incontro significativo”, ovvero quando il/la protagonista incontra qualcuno che cambierà il corso della storia.
A volte mi sento come la protagonista di uno di quei film indipendenti americani, uno di quelli che vanno al Sundance. Sono nel posto in cui sono ma non ci sono veramente. Sto scrivendo, sto rivivendo. Vorrei sedermi per strada e buttare giù sul foglio quello che mi passa per il cervello.
Io lo so perché sono bloccata: mi ha fatto tanto male e mi fa ancora male quello di cui devo scrivere. Ma è lui, so che questo è il mio nuovo libro, quello di cui devo scrivere. Lo so e lo sa anche lui. Sto venendo a prenderti.
Sì, è una minaccia.